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Sentir cantare un granulo omeopatico è un’esperienza che difficilmente capita, e quando capita non si dimentica. Succede in ‘Dottore’, quella che va definita come l’ultima esperienza creativa di Marco Lombardozzi, medico omeopata, psicoterapeuta, scrittore, musicista, attore di testi autoprodotti, ideatore del primo festival dedicato all’omeopatia con una formula altamente innovativa incentrata appunto sull’espressione artistica. Perchè, come dimostra anche questo suo primo album – di cui ha scritto testo e musica -, non c’è nessuna distanza tra arte, esistenza e medicina. Per Lombardozzi e l’opera e l’operato sono la stessa cosa, così come l’arte e la cura. Espressioni dell’anima umana, verrebbe da dire semplificando anzi banalizzando, forme di energia creativa dell’universo, forse andrebbe puntualizzato. Ma in più tutto questo diventa l’emozione che solo la musica sa trasmettere.
Tutto questo è appunto ‘Dottore’, un cd molto originale nel quale la musica e i testi portano l’ascoltatore a penetrare il senso del rapporto intimo tra il paziente e il medico omeopatico che non si limita all’analisi clinica ma cerca di entrare nell’anima di chi ha davanti e comprendere le ragioni profonde, mai solo fisiche, del suo malessere usando tutti i toni dello spirito, dall’ironia al dramma. ‘Il granulo’ è appunto il titolo della prima canzone, che apre con un ritmo country sostenuto, giocoso, per dire con semplicità come, ”omeopatia per piccina che tu sia tanti mali ti porti via”, per affermare ”non sono alternativo”, ma anche rivendicare l’efficacia: ”non chiamatemi fanatico, solo pochi mi capiscono, solo pochi mi conoscono”. Ne ‘Il simile’ si fa un passo in avanti, per porsi ”profonde le domande, profonde le risposte, il medico ti svela le cose più nascoste” e arrivare alla svolta musicale e ‘significante’ dell’album segnata da ‘No dottore’. Qui viene a galla il dramma della ”disperazione nera che ti uccide poco a poco”. Critica alla medicina che ignora la dimensione umana del paziente, e racconto autobiografico in ‘Umano’: ”sono stato un bambino con un solo pensiero, diventare un dottore, un dottore vero”, il canto si fa più dolce. Un medico che cerca di dare sostegno e dove non è riuscito ha tentato almeno di regalare un sogno, a volte drammaticamente senza successo, un dolore che rimane, ”il dolore degli altri” per chi si confronta con atteggiamento empatico. E arriva fino a cantarla quell’angoscia a scioglierla in musica, come un fluido, un mistero come il mistero della vita stessa. In ‘Psico Rap’ un uomo che fa paura e chiede aiuto, un uomo che ha fatto molto male, ma anche qui c’è un mistero da capire e la musica si fa acida, con la chitarra classica dominante che rievoca atmosfere latine. E poi alla fine ‘Buonanotte’, la ballade della dolcezza, che riduce al silenzio: ”vivere è una storia infinita e non c’è mai un vero definitivo addio”. Poesia e dolcezza prendono il sopravvento come la musica che ricorda pagine di Paolo Conte, Eugenio Finardi, Franco Battiato, Francesco De Gregori, e non si sa più dove finisce la musica e inizia la medicina.

Elisabetta Stefanelli

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